Pregate per noi, ne abbiamo bisogno: l’appello di Padre Jubran

Padre Jubran: resistere a Jenin nonostante l'operazione israeliana Padre Jubran: resistere a Jenin nonostante l'operazione israeliana
Padre Jubran: resistere a Jenin nonostante l'operazione israeliana
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Padre Amer Jubran, parroco delll’unica chiesa cattolica ancora aperta in Cisgiordania, in un quadro di profonda crisi umanitaria e conflitto.

Originario di Nazareth e con un passato come formatore nel seminario del Patriarcato latino di Gerusalemme a Beit Jala, padre Amer ha recentemente condiviso gli ultimi aggiornamenti sulla difficile situazione nella sua città, sottolineando le sfide quotidiane affrontate dai suoi parrocchiani.

La situazione a Jenin e la popolazione

Da diciassette giorni, l’esercito israeliano ha instaurato un’occupazione a Jenin, una città già al centro di tensioni tra le forze israeliane e le fazioni armate palestinesi. «Viviamo asserragliati nelle nostre case, con il timore di uscire anche solo per comprare cibo», racconta padre Jubran, descrivendo un quadro drammatico della vita quotidiana dei residenti. L’operazione militare, iniziata il 21 gennaio, si è sovrapposta a una tregua a Gaza, sollevando interrogativi sull’intento del governo israeliano, che sembra voler placare le frange più estremiste della sua maggioranza contrarie al cessate-il-fuoco.

Prima dell’intervento dell’esercito israeliano, Jenin era già teatro di scontri tra diverse fazioni armate e le forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese. Le tensioni locali sono state amplificate dall’ingresso delle forze israeliane. «La nostra è l’unica chiesa cristiana ancora aperta a Jenin», spiega padre Amer, sottolineando la resilienza della sua comunità di appena 80 famiglie. «Non è la prima volta che gli israeliani occupano Jenin. Lo scorso agosto, per esempio, l’IDF era entrata per ben 10 giorni». Ciò che preoccupa ora è la durata dell’occupazione, con il timore che possa diventare permanente.

La sofferenza della popolazione locale è palpabile. Molti residenti di Jenin sono stati costretti a lasciare le loro case, cercando rifugio nei villaggi circostanti. «Circa 20.000 persone hanno abbandonato le loro abitazioni», afferma padre Jubran. La mobilità è gravemente limitata, con i checkpoint verso nord e ovest chiusi e l’unico aperto a sud, verso Gerico, che comporta viaggi estenuanti. Le infrastrutture sono state devastate, con circa 180 case distrutte o demolite, incluse due abitazioni di famiglie cristiane. «Uscire di casa è estremamente pericoloso. Anche io, quando non è necessario, evito di farlo», confessa. Nonostante le avversità, padre Amer cerca di restare vicino al suo gregge, mantenendo i contatti tramite piattaforme digitali come Zoom e WhatsApp. Continua a celebrare le messe durante le festività e nei giorni feriali, cercando di essere presente anche nelle altre comunità cristiane della zona.

Jenin era già teatro di scontri tra diverse fazioni armate e le forze di sicurezza dell'Autorità Palestinese.
Sconti a fuoco nella città di Jenin (www.medjugorje.it)

La determinazione di padre Jubran

La situazione è ulteriormente complicata dalle incertezze politiche e militari. «L’incognita è tanta. Gli sviluppi recenti non sono incoraggianti», osserva padre Jubran. Tuttavia, la sua determinazione è ferma: «Io da qui non me ne vado. Intendo condividere fino in fondo questa tragica esperienza con il popolo di Jenin». La sua richiesta è chiara e toccante: «Pregate per noi, non smettete mai di pregare per noi. Ne abbiamo bisogno, e questa è l’unica cosa utile che potete fare».

Il contesto di Jenin è emblematico delle tensioni in corso tra israeliani e palestinesi, una realtà complessa che coinvolge questioni di identità, appartenenza e diritti umani. Le esperienze di padre Jubran illuminano la resilienza di una piccola comunità cristiana che, nonostante le enormi difficoltà, si aggrappa alla speranza di un futuro migliore. La sua testimonianza mette in evidenza la necessità di una maggiore attenzione internazionale verso le vite delle persone che vivono in zone di conflitto, dove la fede e la comunità possono offrire conforto e supporto in tempi di crisi.

Le parole di padre Jubran risuonano come un appello alla solidarietà e alla comprensione, invitando il mondo esterno a non dimenticare la sofferenza di Jenin e a mantenere viva la luce della speranza attraverso la preghiera e il sostegno, in un momento in cui la pace sembra così lontana. La comunità di Jenin, anche se piccola e fragile, continua a sperare in giorni migliori, sostenuta dalla fede e dalla determinazione di chi, come padre Jubran, non si arrende.

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