Mario Calabresi: il ruolo dei giornalisti nella lotta contro le fake news

Si può ancora comunicare la speranza in un’epoca in cui le narrazioni disperate sembrano predominare? Questa è la domanda centrale che Mario Calabresi ha affrontato durante un incontro significativo tenutosi il 24 gennaio scorso, in occasione della festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, nell’aula Paolo VI.

In un contesto in cui il giornalismo si trova a fronteggiare una crisi di fiducia e un dilagare delle fake news, Calabresi, con la sua vasta esperienza nel mondo della comunicazione, ha offerto una riflessione profonda sul ruolo dei giornalisti nel creare narrazioni di speranza.

La crisi del giornalismo contemporaneo

Calabresi, noto per la sua carriera nella stampa, già direttore de La Stampa e di Repubblica e attualmente alla guida di Chora Media, ha evidenziato un aspetto preoccupante del panorama mediatico contemporaneo: «C’è stata una quantità e una densità di dibattito sullo stato del giornalismo e della comunicazione che non trovavo da tempo». Il suo intervento è stato ulteriormente arricchito dalla partecipazione di Maria Ressa, giornalista filippina e Premio Nobel per la pace, che ha sottolineato l’importanza dei fatti per costruire verità e fiducia. «Senza fatti, non c’è verità; senza verità, non c’è fiducia. E senza fiducia, non c’è democrazia», ha dichiarato Ressa, evidenziando come la mancanza di una realtà condivisa renda difficile affrontare le sfide esistenziali del nostro tempo.

La sfida della disinformazione

Il problema della disinformazione è sempre più urgente. Con l’aumento esponenziale delle fake news diffuse sui social media, Calabresi ha sottolineato come il giornalismo stia vivendo una regressione preoccupante, in cui la moderazione e il fact-checking sembrano essere scomparsi. «Diventa tutto selvaggio», ha affermato, descrivendo un contesto in cui le informazioni non vengono più verificate e il dibattito pubblico è dominato dal caos.

Durante l’incontro, che ha visto la partecipazione di cinquemila persone, Calabresi ha notato come la comunicazione possa ancora essere un mezzo per coltivare la speranza, nonostante le sfide attuali. Ha richiamato le parole dello scrittore Colum McCann, che ha parlato dell’importanza di raccontare le storie delle persone. «Se tu senti la storia di una persona, ti accorgi che è un essere umano e non un numero. A quel punto, come fai a tirargli una bomba in testa?», ha detto Calabresi, enfatizzando il potere delle narrazioni umane nel promuovere un senso di empatia e comprensione.

Il coraggio dei giornalisti

Un altro punto cruciale del dibattito è stato il riconoscimento del coraggio dei giornalisti che operano in contesti difficili. Paesi come il Messico e il Pakistan, citati nel rapporto di Reporter senza frontiere, stanno affrontando sfide enormi, con un numero crescente di giornalisti che rischiano la vita per raccontare la verità. «Gente che rischia la vita per raccontare cosa succede», ha detto Calabresi, sottolineando l’importanza di una comunicazione che non si limiti a denunciare il male, ma che riconosca anche gli sforzi di coloro che lavorano per un cambiamento positivo.

Il giornalismo, secondo Calabresi, non deve essere visto come un campo in cui si contrappongono il bene e il male. «Non basta sostituire le cattive notizie con quelle buone», ha affermato. La vera sfida è quella di integrare le buone notizie nelle narrazioni esistenti, mostrando non solo il problema, ma anche le soluzioni e i successi di coloro che si impegnano per migliorare la situazione. «Puoi raccontare gli incendi della California, ma non dimenticare di menzionare i pompieri che si sono dannati per arginare i danni», ha detto, evidenziando l’importanza di una narrazione equilibrata.

In definitiva, Mario Calabresi ci invita a riflettere non solo su cosa significa essere un giornalista oggi, ma anche su come possiamo tutti contribuire a una comunicazione che non solo informi, ma che ispiri e costruisca una società più giusta e connessa.

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Fernanda Lisi