La guerra in Ucraina, che ha avuto inizio nel 2014 con l’annessione della Crimea da parte della Russia e che si è intensificata nel 2022, presenta un aspetto fondamentale da considerare: il suo carattere religioso. Questo elemento non solo influisce sulla dinamica del conflitto, ma riflette anche le profonde radici storiche e culturali che legano le nazioni coinvolte. La recente retorica del presidente russo Vladimir Putin, che ha citato il Vangelo secondo Giovanni in un discorso significativo durante una parata a Mosca, evidenzia l’importanza della religione come parte integrante della narrativa russa.
La decisione di Putin di innalzare una statua di Vladimiro il Grande, il principe che nel 860 d.C. portò il cristianesimo al popolo russo, accanto al Cremlino, è un chiaro segnale di come la storia e la religione siano utilizzate per giustificare l’azione politica. Per Putin e per il patriarca di Mosca Kirill, l’Ucraina è vista non come una nazione autonoma, ma come parte di un più ampio “mondo russo”. Questa concezione include non solo la Russia, ma anche Bielorussia, Ucraina e Moldavia, con Mosca come capitale politica e Kiev come centro spirituale.
Tale visione non è solo geopolitica, ma anche profondamente etnica e religiosa. La Chiesa ortodossa russa si considera l’unica rappresentante legittima di questo “mondo russo”. Questa idea di una Chiesa etnica è in conflitto con la concezione più universale e inclusiva che caratterizza la Chiesa di Cristo.
La Chiesa ortodossa russa, per la sua natura etnica, non può accettare l’ingerenza di altre culture o religioni, e questo la rende poco incline a un dialogo interreligioso o a una vera apertura verso i migranti e le minoranze. È importante notare che nel 1872, un concilio pan-ortodosso dichiarò eretica la teoria della “Terza Roma”, che sosteneva che Mosca fosse l’erede di Costantinopoli e del suo impero cristiano. Questa concezione ha alimentato l’idea che la Russia avesse un compito divino nella storia, una visione che oggi è riemersa attraverso figure come Alexandr Dugin, filosofo e ideologo vicino a Putin.
Dugin ha esplicitato l’idea di un impero russo da opporre all’Occidente, percepito come corrotto e decadente. Le sue posizioni trovano risonanza nelle affermazioni del patriarca Kirill, che ha descritto il “mondo russo” come un baluardo contro un Occidente che impone valori ritenuti contrari alla legge divina, come i diritti LGBTQ+. In questa narrazione, la guerra in Ucraina non è solo un conflitto territoriale, ma una battaglia ideologica per preservare una forma di moralità tradizionale e spirituale.
Tuttavia, questa visione sta suscitando preoccupazione tra i teologi ortodossi di tutto il mondo, che hanno denunciato l’interpretazione del patriarca Kirill come una perversione del cristianesimo. In un documento recente, hanno affermato che qualsiasi tentativo di trasformare il Regno di Dio in un regno terreno, sia esso la “Santa Rus'” o qualsiasi altro impero, è inaccettabile. La loro posizione sottolinea che i cristiani sono, in realtà, migranti e rifugiati in questo mondo, e la loro vera cittadinanza è nei cieli, dove attendono il ritorno del Signore Gesù Cristo.
La rottura dell’unità ecclesiale tra Mosca e le altre Chiese ortodosse è un segnale dell’importanza della questione religiosa nel conflitto ucraino. L’Ucraina, con la sua Chiesa ortodossa autocefala, rappresenta un tassello cruciale nella resistenza del mondo russo contro l’influenza occidentale. Questa tensione ha portato a un’ulteriore polarizzazione delle opinioni, non solo tra le nazioni coinvolte, ma anche all’interno della comunità ortodossa globale.
In conclusione, la guerra in Ucraina non è solo un conflitto geopolitico, ma un confronto di visioni del mondo e di concezioni religiose. La lotta per l’autonomia della Chiesa ortodossa ucraina è emblematicamente legata alla questione dell’identità nazionale e della sovranità. Le implicazioni di questo aspetto religioso sono profonde e potrebbero influenzare non solo il futuro dell’Ucraina, ma anche le dinamiche geopolitiche dell’intera regione e oltre.