Il Vangelo di oggi 29 Marzo: "l'umiltà è la verità"
La parabola del fariseo e del pubblicano ci insegna che per avvicinarsi a Dio è necessario un doppio movimento: salire e scendere.
Salire verso il tempio significa elevarci a Lui, ma per essere trasformati dalla preghiera dobbiamo anche scendere dentro di noi, coltivando umiltà e sincerità. Solo riconoscendo le nostre fragilità e povertà interiori possiamo aprirci alla sua grazia. Il fariseo, con la sua presunzione, ci invita a riflettere su come talvolta cerchiamo approvazione, dimenticando che la vera giustizia viene dall’umiltà e dalla consapevolezza del nostro bisogno di Dio.
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato.
Nel Vangelo di oggi, Gesù racconta la parabola del fariseo e del pubblicano, un insegnamento che pone l’accento sull’umiltà e sull’autocoscienza del peccato. La parabola si rivolge a coloro che si ritengono giusti, disprezzando gli altri, e invita alla riflessione sul vero significato della giustizia davanti a Dio.
Il fariseo, che rappresenta la religiosità esteriore e orgogliosa, si vanta delle sue azioni, come il digiuno e il pagamento delle decime. Egli si considera giusto per merito delle sue opere, mostrando una presunzione che lo separa dagli altri. Questo atteggiamento, tuttavia, non trova spazio nel cuore di Dio, che ricerca la sincerità e l’umiltà, piuttosto che l’autosufficienza.
Il pubblicano, invece, rappresenta l’umiltà vera. Consapevole della propria miseria, non osa alzare lo sguardo al cielo, ma si batte il petto e chiede perdono. La sua preghiera è una confessione sincera del proprio peccato e una richiesta di misericordia. Questo gesto di umiltà e contrizione è ciò che piace a Dio. Gesù insegna che “chi si umilia sarà esaltato” (Lc 18,14), e attraverso il pentimento, il pubblicano ottiene la giustificazione.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica (2549) afferma che «l’umiltà è la verità» . Riconoscere la propria peccaminosità e la necessità della grazia di Dio è essenziale per ricevere la sua misericordia. La parabola invita a riflettere sul nostro rapporto con Dio: non dobbiamo misurare la giustizia secondo i nostri meriti o confrontarci con gli altri, ma riconoscere la nostra dipendenza dalla misericordia divina.
La vera giustizia non si basa sulle opere esteriori, ma sull’umiltà e sul cuore contrito, che Dio non disprezza (Salmo 51,19). In questo modo, possiamo veramente sperimentare la giustificazione che solo Dio può donare.