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1981: IL PAPA COLPITO A MORTE
13 maggio 1981. Ore 17,13. Giovanni Paolo II, in piedi sulla sua jeep bianca, sta attraversando Piazza San Pietro gremita da 40 mila fedeli, giunti da ogni parte per assistere all’udienza generale del mercoledì. Improvvisamente risuonano due colpi di rivoltella. Il Papa si accascia tra le braccia del segretario, monsignor Stanislao Dziewisz.
Qualcuno ha attentato alla vita del Pontefice. Le immagini del Santo Padre, che cade all’indietro colpito a morte, vengono trasmesse dalle televisioni di tutto il mondo. L’umanità resta attonita e incredula.
E’ questo uno dei fatti di cronaca più eclatanti del secolo Ventesimo. Ma resta anche uno dei fatti più enigmatici e densi di misteriosi significati spirituali. In mezzo a quella folla, in quel pomeriggio caldo romano, si verificò un evento di indicibile portata, cui partecipò Cielo e Terra. Lo rivelerà in seguito lo stesso Giovanni Paolo II: “Una mano ha sparato, un’altra mano ha deviato la pallottola”. Qualcuno voleva uccidere Giovanni Paolo II, ma una presenza invisibile è intervenuta per impedire che le pallottole colpissero organi vitali provocando la morte.
I soccorsi al Papa furono immediati. In circa quindici minuti era già al Policlinico Gemelli, ma le sue condizioni erano gravissime tanto che il segretario gli amministrò l’Estrema Unzione. Fu immediatamente portato in sala operatoria e sottoposto a un delicato intervento chirurgico eseguito dall’équipe del professor Francesco Crucitti.
Il chirurgo incise con il bisturi e trovò, come egli stesso disse in seguito: “sangue, molto sangue, ce n’erano forse tre litri”. La pallottola aveva devastato l’addome del Pontefice. Si dovette procedere all’aspirazione del sangue per poter fermare l’emorragia che costituiva il pericolo più immediato. Poi furono fatte delle trasfusioni che migliorarono le condizioni del ferito permettendo l’intervento vero e proprio.
Esplorando l’addome del Papa, il professor Crucitti trovò diverse lesioni. Alcune provocate dallo scoppio del proiettile, altre dal suo passaggio. La pallottola aveva perforato il colon e causato cinque ferite all’intestino tenue. L’intervento chirurgico durò cinque ore. Al Papa vennero asportati 55 centimetri di intestino. Ma la forte fibra di Wojtyla reagì bene. Alle 0,45 del 14 maggio i medici emisero un bollettino in cui si diceva che l’intervento chirurgico era riuscito bene e che le condizioni del ferito erano soddisfacenti.
Giovanni Paolo II rimase quattro giorni in sala di rianimazione. Quando era ormai fuori pericolo, chiese al professor Crucitti i dettagli dell’intervento. Il professore confessò di aver avuto molta paura e gli riferì in quali condizione aveva trovato il suo addome. Aggiunse di aver osservato una cosa inspiegabile. La pallottola si era mossa, nelle viscere del Papa, a zig zag, evitando gli organi vitali. Era passata a un soffio dall’aorta centrale: se l’avesse raggiunta, il Santo Padre sarebbe morto dissanguato ancora prima di arrivare in ospedale. Aveva evitato la spina dorsale e tutti gli altri principali centri nervosi: se li avesse colpiti, Giovanni Paolo II sarebbe rimasto paralizzato. <>, concluse il professore <>.
Quelle parole suonarono come un campanello d’allarme alle orecchie del Papa. Qualcuno gli fece osservare che l’attentato si era verificato il 13 maggio, anniversario della prima apparizione della Madonna a Fatima. Giovanni Paolo II si ricordò che in Vaticano esisteva l’incartamento della “Terza parte” del famoso “Segreto di Fatima”, che allora nessuno ancora conosceva e che, come è noto, è stata resa di dominio pubblico nell’agosto dello scorso anno. Papa Wojtyla si fece portare in ospedale quelle carte e le lesse attentamente.
Fu colpito soprattutto dalla parte centrale, dove vi è un chiaro accenno all’attentato. “E vedemmo un vescovo vestito di bianco, abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre, vari altri vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, salire una montagna ripida, in cima alla quale c’era una grande croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia. Il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e, mezzo tremulo, con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino. Giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande croce, venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi d’arma da fuoco e frecce….”.
In quella visione Wojtyla si riconobbe. Meditò a lungo su quelle parole. Prese contatti con suor Lucia per avere chiarimenti. Capì che la sua esistenza era stata guidata da Dio fin dall’inizio. La Madonna a Fatima nel 1917 aveva “parlato” di lui, quando lui non era ancora nato.
L’esistenza di Giovanni Paolo II prese un nuovo orientamento. Egli capì che la sua missione era quella di camminare verso la grande croce posta in cima alla montagna ripida, per la salvezza del mondo. Il messaggio di Fatima parlava di preghiera e penitenza. Lui doveva diventare l’uomo della preghiera e della penitenza per essere d’esempio.
E così è accaduto. Il Papa atleta, forte, sportivo, infaticabile, è diventato un Papa sofferente. Da allora la vita di Giovanni Paolo II è stata e continua ad essere una dolorosissima “Via Crucis”. Malattie, incidenti, ricoveri, interventi chirurgici si succedettero in continuazione martoriandolo. Basta guardarlo, per capire che è “un crocifisso che cammina”.
E anche molta della sua attività apostolica ricevette luce e orientamento dai significati di quell’attentato, svolgendosi con maggior e più frequente attenzione verso il “Mistero” di Fatima. Tre volte Giovanni Paolo II è andato pellegrino in quel santuario. E fin dalla prima volta, ha reso pubblica testimonianza alla Vergine affermando di essere stato salvato dalla morte per un suo esplicito intervento. Come la Madonna aveva invano più volte chiesto e non ottenuto, volle consacrare il mondo e la Russia al suo Cuore Immacolato con una cerimonia in cui fosse coinvolta tutta la Chiesa. Fece accelerare la causa di beatificazione dei due veggenti morti, Francesco e Giacinta, e volle che il rito della loro elevazione alla gloria degli altari fosse celebrato a Fatima, nel corso del “Grande Giubileo del 2000” e il 13 maggio, giorno anniversario della prima apparizione della Madonna a Fatima e giorno anniversario dell’attentato che aveva subito in Piazza San Pietro. E alla fine volle che fosse svelato quel famoso “Segreto” di cui tanto si era parlato e discusso.
Che ci sia, quindi, un legame stretto, per quanto arcano, tra Fatima e Karol Wojtyla, tra il “Segreto di Fatima” e l’attentato al Papa non ci sono dubbi.
Ma noi sappiamo che, 42 giorni dopo l’attentato, iniziarono i fatti di Medjugorje. L’attentato si verificò il 13 maggio 1981, e il 24 giugno dello stesso anno ci fu, a Medjugorje, la prima presunta apparizione. Diciamo “presunta” per rispetto alle autorità ecclesiastiche che non si sono ancora pronunciate sull’argomento. E ci chiediamo: c’è un legame tra i due eventi di cui ricordiamo il ventennale?
I teologi, che si sono interessati di Medjugorje, hanno messo in evidenza come il Messaggio della Madonna ai veggenti croati sia, in sostanza, una continuazione di quello di Fatima. Ci sarebbe quindi uno stretto rapporto tra Fatima e Medjugorje, quasi una continuazione. E in questo “rapporto” è compreso anche l’attentato o il “senso” dell’attentato a Giovanni Paolo II?
Forse non si potrà mai dare una risposta. Resta però significativo il fatto che, nonostante la Chiesa, ufficialmente, attraverso i suoi competenti dicasteri, non abbia dato finora alcuna approvazione ai fatti di Medjugorje, il Papa, personalmente, in varie occasioni, dietro sollecitazione di persone che lo interrogavano sull’argomento, ha espresso sempre simpatia, apertura, stima, fiducia.
Monsignor Francesco Cuccarse, arcivescovo di Pescara, ha chiesto a Giovanni Paolo II come doveva comportarsi con i fedeli della sua diocesi che andavano a Medjugorje. Il Papa gli ha risposto con una domanda: “Che cosa fanno a Medjugorje?”. Il vescovo disse: “Pregano, si confessano, vanno in pellegrinaggio”. “E allora lasci che vadano”, disse il Papa.
Monsignor Mario Rizzi, ex nunzio apostolico in Bulgaria, ha raccontato, a Bologna, dove si trovava per il Congresso Eucaristico del 1997, di aver assistito, l’anno prima, alla Messa privata del Papa in compagnia di Monsignor Roberto Cavallero, del Santuario mariano di Orta di Chiavari, che era da poco rientrato da Medjugorje. Il Papa chiese a quest’ultimo: “Medjugorje, lei ci crede?”. E monsignor Cavallero: “E lei Santo Padre, ci crede?”. Dopo un breve silenzio, il Papa dichiarò, scandendo ogni parola: “Ci credo, ci credo, ci credo”.