divorziati
La Chiesa cattolica ha avviato processi sinodali che hanno sollevato questioni rilevanti riguardo le coppie che vivono un secondo matrimonio.
Queste coppie, comunemente definite “divorziati risposati”, rappresentano un tema delicato e complesso che merita un’attenzione approfondita, soprattutto in un contesto in cui le dinamiche familiari stanno cambiando rapidamente.
La realtà dei matrimoni “secondi” è più diffusa di quanto si possa pensare. Non si tratta solo di unioni che seguono una separazione legale, ma anche di quelle che scaturiscono da relazioni precedenti, come convivenze lunghe o unioni civili. Inoltre, esistono casi in cui una coppia ottiene un decreto di nullità da parte di un tribunale ecclesiastico, stabilendo che il primo matrimonio non sussiste per mancanza delle condizioni fondamentali. Tuttavia, la vita in comune di queste coppie è reale e significativa, e merita di essere riconosciuta all’interno della comunità ecclesiale.
Un aspetto importante da considerare è il senso di esclusione che molte di queste coppie avvertono. Spesso si sentono emarginate o trattate come “di serie B” nelle parrocchie. Questa esclusione può manifestarsi attraverso la negazione dell’accesso ai sacramenti, compresa l’Eucarestia, generando un profondo senso di ingiustizia e dolore. È fondamentale chiedersi: perché la Chiesa sembra più propensa a riconciliare delinquenti o persone che hanno commesso gravi peccati, piuttosto che chi, dopo un fallimento matrimoniale, desidera semplicemente ricostruire la propria vita affettiva?
La questione si complica ulteriormente quando si prendono in considerazione le scritture. I passaggi biblici che trattano il tema del divorzio, come quelli presenti nei Vangeli di Marco e Matteo, parlano di un “ripudio” che si oppone al facile abbandono delle donne. Tuttavia, la traduzione di questi testi e la loro interpretazione hanno portato a diverse pratiche nelle diverse tradizioni cristiane. Nelle chiese orientali, ad esempio, esiste una prassi che prevede la riammissione dei divorziati, riconoscendo la complessità delle situazioni umane.
Fino al terzo secolo, la Chiesa non aveva un sacramento specifico per la riconciliazione di peccati gravi come il divorzio. Solo con l’introduzione del sacramento della penitenza, dopo ampi dibattiti, la Chiesa ha cominciato a considerare la possibilità di un percorso di riconciliazione per coloro che avevano vissuto un matrimonio fallito. Questo percorso si applicava anche a chi aveva commesso apostasia, omicidio o aveva contratto un secondo matrimonio, considerato adulterio. Nelle tradizioni ortodosse, i secondi matrimoni sono trattati con serietà e rispetto, non come un atto da prendere alla leggera, ma piuttosto come un gesto di ricerca di perdono e rinnovamento.
Nel Sinodo sulla famiglia del 2015/16, la Chiesa cattolica ha affrontato queste tematiche, cercando di integrare le esperienze delle coppie divorziate risposate nel contesto ecclesiale. Nel capitolo VIII dell’Esortazione apostolica “Amoris Laetitia”, Papa Francesco ha sottolineato l’importanza di accogliere tutti nella comunità ecclesiale, affermando che nessuno dovrebbe essere condannato eternamente. Questa dichiarazione è significativa, poiché riconosce il valore della misericordia e dell’inclusione, invitando a superare le rigidità del passato.
Oggi, la proposta di vivere come “fratello e sorella” per le coppie risposate è considerata impraticabile. La realtà è che queste coppie non sono scomunicate in senso radicale. Tuttavia, la mancanza di una norma chiara che regoli la loro situazione continua a generare confusione e disagio. La Chiesa invita a un discernimento personale e pastorale, ma questo approccio potrebbe facilmente cadere nel rischio di lasciare le coppie sole di fronte a decisioni così complesse.
È tempo che la questione dei matrimoni “secondi” venga portata alla luce, non relegata a note a piè di pagina o a discussioni private. Un percorso pubblico e riconosciuto non solo permetterebbe di affrontare le complessità della situazione, ma offrirebbe anche la possibilità di viverle con giustizia e dignità. È fondamentale che la Chiesa, come comunità di fede, possa abbracciare la diversità delle esperienze umane, offrendo un luogo di accoglienza e di sostegno a tutti coloro che cercano di costruire relazioni significative, anche dopo un fallimento.
In questo contesto, è imperativo che la Chiesa continui a riflettere su come meglio accogliere e integrare queste coppie, aprendo il dialogo e favorendo un clima di comprensione e accettazione. La strada da percorrere è complessa, ma è essenziale per il futuro della comunità cattolica.